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Messaggio  Admin Dom Set 07, 2008 9:21 pm

Lo stimolo a realizzare questa mia trascrizione selezionata della Divina Commedia, è nato anche dalla constatazione del grande ‘revival’ dantesco promosso dall’opera trascinatrice di pubbliche letture, come le vulcaniche recite di Roberto Benigni (a cui va anche il merito di aver incisivamente sentenziato: ‘chi non ha mai letto Dante è come chi non ha mai visto il mare’) e le dotte conferenze dello ‘studantista’ Vittorio Sermonti (‘stu’ sta per studente), alle quali affluiscono, in questi anni d’inizio millennio, legioni di persone sorprendentemente interessate al capolavoro nazionale e che mai si sarebbero sognate di prenderlo o riprenderlo in mano di propria iniziativa.
Avrei cioè la presunzione che pure il mio contributo possa risultare gradito e utile a questa ‘riscoperta’ specialmente perché completamente nuovo nell’impostazione e diverso da tutti gli altri.

Pensando alla faticosa difficoltà con cui si studia (spesso di malavoglia) Dante a scuola, ho inteso rivolgermi anche ai miei cinque giovani nipoti in età più o meno liceale e con loro a tutti quelli che volessero fare, accompagnati da una guida inconsueta, una lettura o una rilettura semplificata, non priva d’ironia e di dissacrazione: una specie di ‘bignamino’ con accesso facilitato in particolare per gli studenti che potrebbero così, divertendosi, trarne un vantaggio soprattutto mnemonico e interpretativo nell’affrontare poi in classe il loro studio più serio e approfondito.
Forse è una pretesa eccessiva visto che, come pure il famosissimo Bignami, persino Indro Montanelli con la sua ‘Storia’ di grande successo (uno dei libri di quella pregevolissima collana è interamente dedicato a Dante e al suo secolo), è stato boicottato dai professori per il suo stile ironico e irrispettoso; ma lui ha ribattuto puntualmente alle loro critiche, come peraltro farei anch’io, lamentando quanto sia retrivo e bigotto l’ambiente della scuola e dell’università:
‘Confessiamo che l’idea di essere gli ‘amici proibiti’ di questi
ragazzi, oltre a darci la misura della nostra riuscita, ci riempie di una specie di
perfida soddisfazione e ci fa sentire quasi loro coetanei’.


Ciò premesso, entriamo in argomento.
Con la sua opera letteraria, Dante voleva innanzi tutto plasmare il ‘volgare’ creando una lingua viva e attuale ma sopra tutto ‘illustre’, fatalmente destinata a sostituire il latino.
Ma questa lingua nazionale doveva essere al di sopra di quelle ‘municipali’, contro le quali non risparmia invettive: in Italia classifica 14 dialetti, per lui tutti orribili e detestabili, compreso il toscano che definisce ‘turpiloquio’.
Non parliamo poi del romano che considera, pur non essendo mai andato al cinema, il ‘tristiloquio’ peggiore di tutti i volgari e della qual cosa dice che ‘non deve far maraviglia dacchè i romani, anche per deformità di costumi e di abiti, appaiono i più fetenti di tutti’.

Non c’è dubbio che il nostro poeta sia riuscito nel suo intento e che la Divina Commedia non solo sia il capolavoro più importante di tutta la letteratura italiana, ma anche: ‘La più grande opera mai scritta da mano umana’, come è stata definita dal poeta argentino Jorge Luis Borges, uno dei massimi geni letterari del ’900.

Dal punto di vista architettonico dell’impianto linguistico, Dante la concepì come una cattedrale i cui rapporti e simmetrie sono incardinati sul ‘magico’ numero tre, simbolo della creatività e della trinità secondo la suggestiva metafisica della numerologia medioevale.

Tre sono le cantiche, ognuna di 33 canti che, con il prologo, formano un insieme di 100, numero perfetto; ogni canto è costituito da ‘terzine’ con rime legate dal primo al terzo verso e tutto questo moltiplicato per quasi 15.000 versi.

Pico della Mirandola, papa Leone XIII e chissà quanti altri letterati più o meno famosi l’hanno studiata tanto da saperla recitare tutta a memoria; molti stranieri imparano l’italiano solo per poter leggere e apprezzare il testo originale ma, diciamocelo fra di noi, presa nel suo insieme, per un comune mortale è un po’ soporifera così come, in genere, sono alquanto pallosi i dotti ed esaurienti commenti sfornati da legioni di eruditi nel corso di sette secoli.

Sfido chiunque a dire che dopo aver terminato di studiare quel numero più o meno consistente di Canti presi in considerazione al liceo, si è poi voluto levare lo sfizio di leggere tutto il malloppo da: ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita’, a: ‘l’amor che move il sole e l’altre stelle’.
Io sono contento di averlo fatto, ma mi considero una bestia rara.

Però è un peccato, perché per quegli italiani colti e di buon gusto, amanti di una ‘loquela’ gradevolmente aulica, la Divina Commedia, al di là del peso letterario, storico e teologico dell’opera, è una fonte inesauribile di similitudini (più di 400!) dal realismo impressionante, di modi di dire ancor oggi modernissimi e spesso diventati proverbiali, di immagini poetiche di una bellezza ineguagliabile. E non è vero che a non essere troppo ‘indigesto’ sia solo l’inferno: mi riprometto di dimostrarlo e di confutare così una fama tanto diffusa quanto ingiusta, mettendo in rilievo il meglio (stupendo) del purgatorio e del paradiso.

Salvo alcune tra le più famose che abbiamo imparato a scuola, bisogna però andare a scoprire queste ‘perle’ fra terzine che qualche volta fanno pensare all’Alfieri quando buttò via, dopo aver letto solo la prima riga, quel pur bellissimo “Galateo” di monsignor Giovanni della Casa giudicandolo insopportabile per il solo fatto d’iniziare con un avverbio pedante come ‘conciòssiacosaché’.

Così ho pensato di fare io questa ricerca, ed ecco il risultato della mia ‘selezione pilotata’, un po’ fantasiosa e stravagante, magari qualche volta anche demenziale, ma pur sempre molto rispettosa del regalo che il ‘Padre nostro’ Dante - mostro sacro assieme al Boccaccio - ci ha fatto ‘inventando’ una lingua volgare forse ancora più bella del latino e certamente meglio, con buona pace di Shakespeare, di quell’orribile e cacofonico, quanto oggi indispensabile e insostituibile, inglese. (Almeno fosse rimasto il latino come lingua universale!)

Non ho avuto né la pretesa né l’intenzione di fare un nuovo, prolisso commento alla Divina Commedia (ce ne sono già più di mille!), ma ho immaginato una specie di visita guidata al viaggio di Dante che permettesse di sostituire alla consuetudine scolastica di saltare a pié pari la maggior parte dei canti per studiarne solo alcuni, quella di esaminarli tutti mettendo in evidenza solo il meglio di ognuno senza l’impegno enorme, praticamente impossibile a scuola, di una lettura integrale. Il percorso risulta in questo modo ugualmente completo, perché dà un’idea compiuta e non frammentaria della ‘Comedia’ dantesca nel suo complesso e alleggerisce nel contempo l’onere di leggere tutta quest’opera ponderosa.

Mentre seguiamo passo passo il suo intero itinerario e ci imbattiamo nei più importanti protagonisti reali e mitologici presentati dal Poeta, questi personaggi raccontano le loro storie e le loro imprese traducendole in chiave meno pedante del consueto, rendendoceli così più simpatici, interessanti e, se possibile, divertenti.

Il testo meno ‘pregiato’ (si fa per dire) è ridotto all’essenziale per seguire una progressione logica che raccolga, strada facendo, i versi con le immagini e le similitudini più belle e celebrate.

Riferimenti all’attualità e qualche inserto, aneddoto o citazione di altri poeti e scrittori illustri, pertinenti con l’opera di Dante per quanto non indispensabili al filo del discorso, completano questa mia esposizione del suo capolavoro.

Le note sono accostate ai versi per consentire una più immediata lettura e con questo accorgimento una più facile comprensione del senso della frase e del significato dei vocaboli arcaici.

Quanto alla mia interpretazione sul piano teologico, anche se, da buon uomo medioevale, la mia istruzione primaria mi è stata impartita dai Fratelli delle Scuole Cristiane e poi la laurea in lettere me l’ha elargita l’Università Cattolica del Sacro Cuore, qualcuno potrà obiettare che sia alquanto aggressiva proprio nei confronti di questi ‘maestri’. Può darsi, ma si tenga presente che non ho fatto altro che seguire, all’occorrenza solo evidenziandolo, il pensiero di Dante nella sua intenzione - che poi anche il Boccaccio riprenderà col Decamerone - di denunciare il marcio della ‘gente ch’al mondo più traligna’: cioè dei dirigenti dell’impalcatura ecclesiastica che da secoli ‘il mondo attrista calcando i buoni e sollevando i pravi / là dove Cristo tutto dì si merca’, con un ipocrita ed interessato plagio dei suoi redditizi sudditi, abilmente manovrati a proprio vantaggio, sfruttandone l’ignoranza e l’ancestrale timore esistenziale insito nella natura umana di fronte all’inspiegabile, all’ignoto e al soprannaturale.

E tutto ciò in combutta, quando non in proprio, col potere politico e militare dell’imperatore, o chi per lui - democratico o dittatoriale fa lo stesso - di cui la Chiesa è sempre stata una costante alleata e, legittimandolo, un’autorevole copertura per qualunque fatto o misfatto, compresi i soprusi più abominevoli.

Comunque sono disposto a correre anch’io, come d’altra parte ha fatto lo stesso Dante, il rischio che il mio commento anticlericale ‘a molti fia sapor di forte agrume’, visto che le conseguenze di questo ‘grido’ saranno ‘onorevoli’. Lo ha detto proprio il suo autorevole trisavolo Cacciaguida:

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’è la rogna.
Questo tuo grido farà come vento
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d’onor poco argomento.


Ciò non toglie che, per par condicio, sia giusto fare tanto di cappello anche a chi, in buona fede, la pensa secondo la vigente e più diffusa morale cattolica, perchè la libertà di pensiero è la più sacra delle conquiste: ‘Lo maggior don che Dio fesse creando / fu de la volontà la libertate’.

Per ribadire questo concetto, nel purgatorio Virgilio dirà infatti a Catone che lo stesso Dante

Libertà va cercando ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.


Anche per quanto riguarda la mia terminologia, qualche volta un po’ pesante, credo sia oggi accettata da tutti (compresi quelli, come me, che fino a qualche anno fa storcevano il naso), specialmente dopo che la Cassazione ha mandato a sua volta affanculo chi pretendeva di considerare sconveniente e offensivo questo spontaneo consiglio, sostitutivo dell’ormai abusato ‘va all’inferno’, e dopo che Beppe Grillo ha deciso di fondare l’omonimo antipartito del VAF.

Persino il nostro ‘Divino’ utilizza spesso termini come ‘chiavare’, ‘merda’, ‘culo’, ‘fica’: in fondo non è Dante stesso che ha deciso di usare per la sua opera maestra il … “volgare”?

Al termine i lettori troveranno altresì una raccolta, ulteriormente selezionata, di quei versi più famosi che potranno utilizzare in moltissimi frangenti e in piacevoli conversazioni, anche per fare sfoggio della loro cultura e senso dell’humor: perché no? ‘Seguite i pochi e non la volgar gente’, diceva Petrarca. E poi, Dante è veramente ‘per tutte le occasioni’! (sia serie che un po’ demenziali)

Se alla fine, oltre ad un interessato divertimento, avrò ottenuto anche lo scopo di dare ai miei lettori, già più o meno esperti di Dante, la sensazione di aver scoperto una nuova Divina Commedia (nuova rispetto a quella che ricordavano dalla scuola in modo forse confuso e notevolmente incompleto) e che siano così invogliati a un ulteriore approfondimento, mi dichiarerò completamente soddisfatto della mia iniziativa un po’ dissacratoria.

Sicuramente questa ‘non è impresa da pigliare a gabbo / ché molte volte al fatto il dir vien meno’, ma il tentativo io l’ho fatto lo stesso seguendo il consiglio del Boccaccio:

si è egli meglio fare e pentère che starsi e pentersi’ e… [starsi = non far niente
e pentirsi]
se ho fallato, perdonanza chieggio:
quest’altra volta so che farò peggio.


Piero Tiberto
Isola d’Elba, dicembre 2007










P.S. - Spero che anche i miei figli Yuri e Marina leggano il ‘mio’ Dante: sarà una consolazione e un’ammenda per non aver dedicato loro più tempo per farglielo apprezzare quando erano ragazzi

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